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Il Santuario della Vittoria, da più di 300 anni domina sulla Valpolcevera

ti ricordi di...

Per la rubrica "Ti ricordi di...?" questa settimana pubblichiamo una vecchia fotografia del Santuario di Nostra Signora della Vittoria, che si trova nel comune di Mignanego.
Il santuario sorge sul passo del Pertuso, in posizione dominante sulla Val Polcevera, ad un'altitudine di 650 m, nei pressi del luogo dove il 10 maggio 1625 pochi soldati della Repubblica di Genova, affiancati da volontari della Valpolcevera, guidati dal parroco di Montanesi, sconfissero un forte esercito franco-savoiardo comandato dal Duca Carlo Emanuele I di Savoia e composto, si dice, da oltre 8.000 uomini. A causa di questa sconfitta, il Duca dovette rinunciare alle sue mire sulla città di Genova.
Sul luogo della battaglia (passo del Pertuso), in segno di ringraziamento per l'intercessione della Madonna, fu eretto questo santuario, e la città di Genova fu consacrata alla "Madonna Regina della Vittoria".
Dal piazzale si ha un'ampia vista sulla Valpolcevera, dal passo dei Giovi fino al mare. Il santuario è oggi raggiungibile dalla strada provinciale 35 dei Giovi, seguendo una deviazione proprio al culmine del passo, ma sono ancora percorribili le antiche strade, quella che sale dal paese di Montanesi e quella del passo del Pertuso, valico tra la Valpolcevera e la Valle Scrivia (oggi strada provinciale 47 del Santuario della Vittoria).
Attraverso il passo del Pertuso passava una delle antiche vie di comunicazione tra Genova e la Pianura Padana. Questa via, che scendeva in Valle Scrivia a Vallecalda (frazione di Savignone), in epoca medioevale superò per importanza la via Postumia, e dal XIII secolo ai primi decenni dell'Ottocento divenne la principale via di comunicazione tra Genova e la Pianura Padana. Per questa via transitarono nel 722 le ceneri di Sant'Agostino, che il re longobardo Liutprando fece trasportare, transitando per il porto di Genova, dall'Africa a Pavia
Durante la guerra di successione austriaca, tra il 1746 e il 1747 tutta la Valpolcevera subì l'occupazione delle truppe austriache che assediavano Genova, seminando morte e distruzione.
Particolarmente colpiti furono gli edifici religiosi, ed anche il santuario fu quasi completamente distrutto (secondo alcuni dagli austriaci, secondo altre fonti dagli stessi valligiani perché non servisse come base per le scorribande degli invasori). Si salvarono solo il campanile, costruito nel 1723, l'altare maggiore e la sacrestia, oltre agli arredi sacri, che il parroco di Montanesi aveva portato al sicuro a Pedemonte (Serra Riccò).
Il santuario fu ricostruito nel 1751. La chiesa, più piccola di quella secentesca, ha pianta rettangolare a navata unica e due cappelle laterali, dedicate a Sant'Anna e al Sacro Cuore. Sopra l'altare maggiore si trova la statua dell'Orsolino, raffigurante la Madonna con la palma della vittoria nella mano sinistra, mentre con la destra sorregge il Bambino che sventola la bandiera di Genova. Un'altra statua in legno della Madonna, scolpita negli anni trenta del Novecento da un artigiano di Ortisei, si trova nell'atrio della chiesa.
Il santuario della Vittoria divenne una delle principali mete domenicali degli abitanti della Valpolcevera, tradizione che, a motivo della sua origine, si consolidò con l'instaurarsi del clima patriottico che caratterizzò il periodo tra la fine dell'Ottocento e la prima guerra mondiale (1915-1918), quando divenne un importante punto di riferimento per gli ex combattenti, che vi hanno portato cimeli di guerra ed ex voto in segno di ringraziamento.
Sul piazzale sono conservati i resti di un obice austriaco della prima guerra mondiale, donato al santuario nel 1919 dal generale Armando Diaz e un pezzo d'artiglieria della seconda guerra mondiale, strappato ai tedeschi dalle brigate partigiane che operarono nella zona durante la lotta di liberazione (1943-1945). Si tratta di un cannone anticarro tipo 7.5 cm PaK 40 prodotto dalla Rehinmetall-Börsig.
In occasione della consegna dell'obice donato dal generale Diaz fu anche collocata sul muro del campanile la targa, tuttora esistente.

(Foto: Armando Pagano - Fonte del testo: Wikipedia)


















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A cura di Elisa Zanolli e Ottavio Traverso  -  Informativa sui cookie